Leggete Paul Krugman.
L’ultimo libro, appena uscito per i tipi di Garzanti, ha un titolo
molto strano: “Fuori da questa crisi, adesso!”
Paul Krugman è Nobel per l’economia, 2008.
Non si tratta del solito libro di macro economia: è interessantissimo e
ci si fa una chiara idea della situazione, drammatica, dell’Unione Europea.
Riporto, per invogliarvi a leggere il libro, alcuni passi dello stesso:
Il nostro governo dovrebbe prendere nota ora dei problemi che abbiamo,
sviluppare l’economia e quando le condizioni saranno prosperose, applicare le
restrizioni che dovrebbe applicare adesso. E invece... figuratevi se chi ci
governa applicherà restrizioni quando le cose andranno bene! Giammai: le
applica ora, asfissiando uno che già sta morendo di asfissia.
Pagina 51: “Ma il punto fondamentale è che per uscire dalla depressione
che stiamo attraversando occorre un rilancio della spesa pubblica.” Aumentare il circolante monetario durante la
depressione non può generare inflazione: nessuno vuole spendere in modo normale
e tanto meno in eccesso quando l’economia è depressa. Insomma, la Germania ci
sta trascinando nel baratro perché i suoi veri obiettivi sono altri.
Pagina 64: “Il paradosso della parsimonia: Supponete che tutti tentino
di risparmiare di più sulle spese nello stesso momento. In un’economia
depressa, se tutti spendono di meno, l’effetto è il declino del reddito e il dimensionamento
dell’economia: nel tentativo di spendere meno a livello individuale, si creano
problemi a livello complessivo. Inoltre, il paradosso della parsimonia non
dipende necessariamente da un indebitamento eccessivo del passato e questo
paradosso ne crea altri due:
Il paradosso del deleveraging: più i debitori pagano, più
saranno indebitati. Quando una grossa percentuale di individui e/o imprese
tenta simultaneamente di rimborsare i debiti, il reddito (e il valore dei
cespiti che devono essere venduti) crollano, e i problemi legati al debito
peggiorano anziché migliorare.
Il secondo è il paradosso della flessibilità: quando si fatica a
vendere qualcosa, la soluzione è ridurne il prezzo. Sembra logico perciò
ipotizzare che la soluzione alla disoccupazione di massa sia tagliare i salari.”
Come vedete, alcune ricette sono di destra (ridurre i salari) e alcune
sono di sinistra (keynesiane, aumentare le spese pubbliche): difficile pertanto
che un simile cocktail sia adottato dai politici, per i quali arretrare o
cambiare anche una sola idea è un affronto mortale. Un politico che si
rispetti, secondo la logica corrente, non può cambiare idea: mi spezzo ma non
mi piego. Solo che spezzano anche noi. Una ricetta che prevede rimedi
tradizionali della destra e rimedi tradizionali della sinistra non sarà mai applicata
dai politici: lo poteva fare Monti...
Pagina 96: “Negli anni ’80, i proprietari delle casse rurali americane
(Savings and loan) hanno registrato enormi profitti assumendosi dei grossi
rischi, per poi lasciare il conto ai contribuenti americani quando le cose sono
andate male. Negli anni Duemila, i banchieri si sono ripetuti, concedendo mutui
immobiliari a clienti potenzialmente insolventi e rivendendoli ad investitori
inconsapevoli, e facendosi poi inoltre aiutare dal governo quando è arrivata la
crisi.
A pagina 102, a proposito della disonestà: “Difficile indurre un uomo a
capire una determinata cosa quando il suo guadagno dipende dal fatto di non
capirla.”
Krugman dimostra inequivocabilmente una correlazione tra
deregolamentazione, guadagno dei più ricchi e crisi economica: più si tolgono
regole, più i grandi manager e i grandi capitalisti guadagnano e più entra in
crisi l’economia. I problemi ultimi sono iniziati negli anni ’80 con Reagan.
Krugman pone nei seguenti termini l’inizio della crisi (pagina 131): “La
gravità della situazione è emersa il 9 agosto 2007, quando BNP Paribas ha
dichiarato ai sottoscrittori di due dei suoi fondi che non potevano più
ritirare i loro soldi... a quel punto le banche non erano più disposte a
prestarsi soldi a vicenda; l’economia statunitense alla fine del 2007 è entrata
in recessione per la combinazione tra la stasi dell’edilizia, calo dei consumi
per la caduta dei prezzi immobiliari e stretta del credito.”
Krugman dice che il problema nella zona dell’Euro dipende dal fatto che
in Germania abbiamo la piena occupazione e che l’euro per i tedeschi è debole.
Se l’ipotetico euro italiano valesse il 20 per cento in meno di un ipotetico
euro tedesco, la Fiat esporterebbe in Germania e la Bmw non esporterebbe in
Italia, sino a quando l’economia italiana non si fosse rafforzata e l’euro
italiano non si fosse riallineato all’euro tedesco. L’alternativa sarebbe
ridurre le paghe in Italia settentrionale del 20 per cento (e in Italia
meridionale del 30 per cento...) ma questo non sarebbe accettato universalmente
e i sindacati si farebbero uccidere piuttosto che accettare, anche se
accetterebbero la svalutazione. Le ragioni sono esclusivamente psicologiche e
di principio. Per spiegarlo, Krugman riporta un delizioso paragone a pagina
193: “Si potrebbe cambiare il sistema dell’ora legale. Non è forse assurdo
tirare indietro le lancette di un’ora in estate, quando si potrebbe ottenere
esattamente lo stesso risultato convincendo tutti gli individui a modificare le
proprie abitudini? Basterebbe che tutti andassero in ufficio un’ora prima,
pranzassero un’ora prima eccetera. Ma ovviamente è molto più semplice agire
direttamente sull’orologio che regola le azioni di tutti. La situazione è
esattamente la stessa nel mercato dei cambi. In realtà, è molto più semplice lasciar
variare un solo prezzo, quello del cambio estero.”
Lo stesso discorso vale per ridurre le paghe del venti per cento. Ci
sarebbero delle resistenze spaventose che non ci sarebbero invece per la
svalutazione. Inutile dire che in entrambi i casi entro poco tempo l’occupazione
aumenterebbe e i singoli operai vivrebbero meglio, per lo sviluppo dell’economia
e l’aumento graduale dei salari.
In realtà, con la moneta unica, l’unica prospettiva, svalutare, non è
possibile.
Solo quando l’economia fosse ripresa i vari governi Monti potrebbero
applicare l’austerità, ma, nuovamente, a quel punto nessuno ci penserebbe più e
chi lo volesse fare sarebbe messo all’indice.
Insomma, per gestire l’economia italiana, con la demagogia imperante,
ci vogliono delle doti fuori dal comune... l’alternativa e mandare tutti a
scuola per 400 anni e capire che i politici non possono fare gli economisti e
tanto meno gli economisti lo possono fare perché, oggi come oggi, sono
influenzati dai politici. Inoltre, nessuno degli economisti italiani che oggi
vanno per la maggiore ha mostrato idee chiare in proposito.
La Grande Bugia americana(pag. 200): “... l’affermazione secondo la
quale sarebbero state le agenzie governative a causare una crisi tentando
erroneamente di aiutare i poveri... [quando invece è dipeso dalla
deregolamentazione e dai manager che han guadagnato fin che le cose andavano bene
e scaricato sul governo quando le cose andavano male.]
La Grande Illusione europea: “... si fonda sulla convinzione che la
crisi europea sia causata essenzialmente dall’irresponsabilità fiscale.”
L’attuale atteggiamento tedesco è in relazione a un atteggiamento
moralisteggiante: “Non vi ricordate Weimar? Se non pagate le tasse potreste
generare inflazione... moralità! Niente deficit!”
In realtà, esportano loro, il boom immobiliare in Ispagna l’hanno
causato loro e allora la Merkel non interveniva. Il problema in Grecia poteva
essere risolto rapidamente all’inizio, ma probabilmente il disegno tedesco è
quello di mettere tutti in difficoltà e comandare in Europa, salvando la
situazione all’ultimo momento.
E a pagina 220, Krugman liquida in poche parole la situazione italiana:
“Ma se l’economia è profondamente depressa, e i tassi d’interesse sono già
prossimi a zero, i tagli alla spesa non si possono compensare ed hanno invece l’effetto
di deprimere ulteriormente l’economia e dunque far diminuire le entrate,
vanificando almeno in parte il tentativo di ridurre il deficit.”
Ancora, a pagina 220 troviamo la favola della fiducia: “...ho riportato
in apertura i commenti di Trichet, presidente della BCE fino all’autunno del
2011, da cui traspare la dottrina straordinariamente ottimistica (e insensata)
che dominava i corridoi del potere nel 2011 stesso. Essa partiva dal
presupposto che l’effetto diretto della riduzione della spesa pubblica fosse
ridurre la domanda, il che avrebbe causato un rallentamento dell’economia e un
aumento della disoccupazione... MA LA FIDUCIA, DICEVA TRICHET, AVREBBE
COMPENSATO ABBONDANTEMENTE QUELL’EFFETTO DIRETTO.”
In realtà, questo effetto fiducia non si realizza mai e nemmeno questa
volta si è realizzato: i fatti lo dimostrano. Ma possibile che Trichet non
capisca? Se è in malafede, no. La riduzione della spesa pubblica comporta
anche, solitamente, alzando i tassi e favorendo le banche...
Draghi, subito dopo, ha migliorato la situazione.
E conclude, a pagina 266: “Le evidenze dimostrano più che mai che la
politica fiscale è importantissima e che un rialzo delle tasse strozza l’economia,
distrugge i posti di lavoro e alla fine il gettito complessivo diminuisce e non
aumenta.”
E Monti, pertanto, sta facendo esattamente il contrario di quello che
dovrebbe fare? In buona o mala fede? Nel primo caso non sarebbe eccessivamente
competente e nel secondo caso sarebbe quindi un prezzolato?
Aggiungo io: se è vero che la Germania vuole comandare e che solo per
questo motivo ha creato la depressione, succederà, prima delle elezioni greche
(sto scrivendo il 12 giugno, quindi entro due o tre giorni), che
improvvisamente alla Grecia verranno fatte delle concessioni enormi, in modo he
il voto sarà dirottato e che aumenteranno enormemente le probabilità che la
Grecia resti nell’Euro. Magari concessioni fatte direttamente dalla Germania.
Se invece non succederà, significherà, una volta di più, che il vero
istinto tedesco è andare verso il suicidio, solo che in questo caso coinvolgono
anche gli altri.
Per quanto riguarda l’America, dopo la crisi da loro generata, hanno
saputo pompare sull’economia e senza generare inflazione, a dimostrazione che
la carta stampata, durante la depressione, fa bene e non male.
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