martedì 12 giugno 2012

A131 Economia: Paul Krugman

Leggete Paul Krugman.
L’ultimo libro, appena uscito per i tipi di Garzanti, ha un titolo molto strano: “Fuori da questa crisi, adesso!”
Paul Krugman è Nobel per l’economia, 2008.
Non si tratta del solito libro di macro economia: è interessantissimo e ci si fa una chiara idea della situazione, drammatica, dell’Unione Europea.
Riporto, per invogliarvi a leggere il libro, alcuni passi dello stesso:

“Ciò che è il mio guadagno, è la tua spesa.” Non si esce da una crisi spendendo meno.

Il nostro governo dovrebbe prendere nota ora dei problemi che abbiamo, sviluppare l’economia e quando le condizioni saranno prosperose, applicare le restrizioni che dovrebbe applicare adesso. E invece... figuratevi se chi ci governa applicherà restrizioni quando le cose andranno bene! Giammai: le applica ora, asfissiando uno che già sta morendo di asfissia.

Pagina 51: “Ma il punto fondamentale è che per uscire dalla depressione che stiamo attraversando occorre un rilancio della spesa pubblica.”  Aumentare il circolante monetario durante la depressione non può generare inflazione: nessuno vuole spendere in modo normale e tanto meno in eccesso quando l’economia è depressa. Insomma, la Germania ci sta trascinando nel baratro perché i suoi veri obiettivi sono altri.

Pagina 64: “Il paradosso della parsimonia: Supponete che tutti tentino di risparmiare di più sulle spese nello stesso momento. In un’economia depressa, se tutti spendono di meno, l’effetto è il declino del reddito e il dimensionamento dell’economia: nel tentativo di spendere meno a livello individuale, si creano problemi a livello complessivo. Inoltre, il paradosso della parsimonia non dipende necessariamente da un indebitamento eccessivo del passato e questo paradosso ne crea altri due:

Il paradosso del deleveraging: più i debitori pagano, più saranno indebitati. Quando una grossa percentuale di individui e/o imprese tenta simultaneamente di rimborsare i debiti, il reddito (e il valore dei cespiti che devono essere venduti) crollano, e i problemi legati al debito peggiorano anziché migliorare.

Il secondo è il paradosso della flessibilità: quando si fatica a vendere qualcosa, la soluzione è ridurne il prezzo. Sembra logico perciò ipotizzare che la soluzione alla disoccupazione di massa sia tagliare i salari.”

Come vedete, alcune ricette sono di destra (ridurre i salari) e alcune sono di sinistra (keynesiane, aumentare le spese pubbliche): difficile pertanto che un simile cocktail sia adottato dai politici, per i quali arretrare o cambiare anche una sola idea è un affronto mortale. Un politico che si rispetti, secondo la logica corrente, non può cambiare idea: mi spezzo ma non mi piego. Solo che spezzano anche noi. Una ricetta che prevede rimedi tradizionali della destra e rimedi tradizionali della sinistra non sarà mai applicata dai politici: lo poteva fare Monti...

Pagina 96: “Negli anni ’80, i proprietari delle casse rurali americane (Savings and loan) hanno registrato enormi profitti assumendosi dei grossi rischi, per poi lasciare il conto ai contribuenti americani quando le cose sono andate male. Negli anni Duemila, i banchieri si sono ripetuti, concedendo mutui immobiliari a clienti potenzialmente insolventi e rivendendoli ad investitori inconsapevoli, e facendosi poi inoltre aiutare dal governo quando è arrivata la crisi.

A pagina 102, a proposito della disonestà: “Difficile indurre un uomo a capire una determinata cosa quando il suo guadagno dipende dal fatto di non capirla.”

Krugman dimostra inequivocabilmente una correlazione tra deregolamentazione, guadagno dei più ricchi e crisi economica: più si tolgono regole, più i grandi manager e i grandi capitalisti guadagnano e più entra in crisi l’economia. I problemi ultimi sono iniziati negli anni ’80 con Reagan.

Krugman pone nei seguenti termini l’inizio della crisi (pagina 131): “La gravità della situazione è emersa il 9 agosto 2007, quando BNP Paribas ha dichiarato ai sottoscrittori di due dei suoi fondi che non potevano più ritirare i loro soldi... a quel punto le banche non erano più disposte a prestarsi soldi a vicenda; l’economia statunitense alla fine del 2007 è entrata in recessione per la combinazione tra la stasi dell’edilizia, calo dei consumi per la caduta dei prezzi immobiliari e stretta del credito.”

Krugman dice che il problema nella zona dell’Euro dipende dal fatto che in Germania abbiamo la piena occupazione e che l’euro per i tedeschi è debole. Se l’ipotetico euro italiano valesse il 20 per cento in meno di un ipotetico euro tedesco, la Fiat esporterebbe in Germania e la Bmw non esporterebbe in Italia, sino a quando l’economia italiana non si fosse rafforzata e l’euro italiano non si fosse riallineato all’euro tedesco. L’alternativa sarebbe ridurre le paghe in Italia settentrionale del 20 per cento (e in Italia meridionale del 30 per cento...) ma questo non sarebbe accettato universalmente e i sindacati si farebbero uccidere piuttosto che accettare, anche se accetterebbero la svalutazione. Le ragioni sono esclusivamente psicologiche e di principio. Per spiegarlo, Krugman riporta un delizioso paragone a pagina 193: “Si potrebbe cambiare il sistema dell’ora legale. Non è forse assurdo tirare indietro le lancette di un’ora in estate, quando si potrebbe ottenere esattamente lo stesso risultato convincendo tutti gli individui a modificare le proprie abitudini? Basterebbe che tutti andassero in ufficio un’ora prima, pranzassero un’ora prima eccetera. Ma ovviamente è molto più semplice agire direttamente sull’orologio che regola le azioni di tutti. La situazione è esattamente la stessa nel mercato dei cambi. In realtà, è molto più semplice lasciar variare un solo prezzo, quello del cambio estero.”
Lo stesso discorso vale per ridurre le paghe del venti per cento. Ci sarebbero delle resistenze spaventose che non ci sarebbero invece per la svalutazione. Inutile dire che in entrambi i casi entro poco tempo l’occupazione aumenterebbe e i singoli operai vivrebbero meglio, per lo sviluppo dell’economia e l’aumento graduale dei salari.
In realtà, con la moneta unica, l’unica prospettiva, svalutare, non è possibile.
Solo quando l’economia fosse ripresa i vari governi Monti potrebbero applicare l’austerità, ma, nuovamente, a quel punto nessuno ci penserebbe più e chi lo volesse fare sarebbe messo all’indice.
Insomma, per gestire l’economia italiana, con la demagogia imperante, ci vogliono delle doti fuori dal comune... l’alternativa e mandare tutti a scuola per 400 anni e capire che i politici non possono fare gli economisti e tanto meno gli economisti lo possono fare perché, oggi come oggi, sono influenzati dai politici. Inoltre, nessuno degli economisti italiani che oggi vanno per la maggiore ha mostrato idee chiare in proposito.

La Grande Bugia americana(pag. 200): “... l’affermazione secondo la quale sarebbero state le agenzie governative a causare una crisi tentando erroneamente di aiutare i poveri... [quando invece è dipeso dalla deregolamentazione e dai manager che han guadagnato fin che le cose andavano bene e scaricato sul governo quando le cose andavano male.]

La Grande Illusione europea: “... si fonda sulla convinzione che la crisi europea sia causata essenzialmente dall’irresponsabilità fiscale.”

L’attuale atteggiamento tedesco è in relazione a un atteggiamento moralisteggiante: “Non vi ricordate Weimar? Se non pagate le tasse potreste generare inflazione... moralità! Niente deficit!”

In realtà, esportano loro, il boom immobiliare in Ispagna l’hanno causato loro e allora la Merkel non interveniva. Il problema in Grecia poteva essere risolto rapidamente all’inizio, ma probabilmente il disegno tedesco è quello di mettere tutti in difficoltà e comandare in Europa, salvando la situazione all’ultimo momento.

E a pagina 220, Krugman liquida in poche parole la situazione italiana: “Ma se l’economia è profondamente depressa, e i tassi d’interesse sono già prossimi a zero, i tagli alla spesa non si possono compensare ed hanno invece l’effetto di deprimere ulteriormente l’economia e dunque far diminuire le entrate, vanificando almeno in parte il tentativo di ridurre il deficit.”

Ancora, a pagina 220 troviamo la favola della fiducia: “...ho riportato in apertura i commenti di Trichet, presidente della BCE fino all’autunno del 2011, da cui traspare la dottrina straordinariamente ottimistica (e insensata) che dominava i corridoi del potere nel 2011 stesso. Essa partiva dal presupposto che l’effetto diretto della riduzione della spesa pubblica fosse ridurre la domanda, il che avrebbe causato un rallentamento dell’economia e un aumento della disoccupazione... MA LA FIDUCIA, DICEVA TRICHET, AVREBBE COMPENSATO ABBONDANTEMENTE QUELL’EFFETTO DIRETTO.”

In realtà, questo effetto fiducia non si realizza mai e nemmeno questa volta si è realizzato: i fatti lo dimostrano. Ma possibile che Trichet non capisca? Se è in malafede, no. La riduzione della spesa pubblica comporta anche, solitamente, alzando i tassi e favorendo le banche...

Draghi, subito dopo, ha migliorato la situazione.

E conclude, a pagina 266: “Le evidenze dimostrano più che mai che la politica fiscale è importantissima e che un rialzo delle tasse strozza l’economia, distrugge i posti di lavoro e alla fine il gettito complessivo diminuisce e non aumenta.”

E Monti, pertanto, sta facendo esattamente il contrario di quello che dovrebbe fare? In buona o mala fede? Nel primo caso non sarebbe eccessivamente competente e nel secondo caso sarebbe quindi un prezzolato?

Aggiungo io: se è vero che la Germania vuole comandare e che solo per questo motivo ha creato la depressione, succederà, prima delle elezioni greche (sto scrivendo il 12 giugno, quindi entro due o tre giorni), che improvvisamente alla Grecia verranno fatte delle concessioni enormi, in modo he il voto sarà dirottato e che aumenteranno enormemente le probabilità che la Grecia resti nell’Euro. Magari concessioni fatte direttamente dalla Germania.

Se invece non succederà, significherà, una volta di più, che il vero istinto tedesco è andare verso il suicidio, solo che in questo caso coinvolgono anche gli altri.

Per quanto riguarda l’America, dopo la crisi da loro generata, hanno saputo pompare sull’economia e senza generare inflazione, a dimostrazione che la carta stampata, durante la depressione, fa bene e non male.


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