giovedì 31 maggio 2012

A129 Letteratura: Vitaliano Brancati.


Nasce a Pachino, Siracusa, nel 1907 e muore prematuramente durante un’operazione chirurgica nel 1954.
Fondamentale la sua evoluzione politica. Per questioni contingenti, si trova a vent’anni in pieno fascismo e ne adotta le idee: scrive a favore del regime per poi diventare antifascista nel 1937, a trent’anni, con idee democratiche avanzate. Ma ecco nel 1953 l’evoluzione finale: Brancati non ha più idee, non crede più a niente, profondamente deluso da quanto ha visto.
Talento naturale, è uno dei pochi italiani che possano essere ritenuti capaci di scrivere dei diari, tutti molto intensi e pieni di riflessioni. Voglio riportare qui di seguito alcuni passi dello scrittore: il mio scopo è quello di invitarvi a leggerlo.
Tutte le citazioni vengono dai due volumi di Mondadori denominati “Opere” della collana “I Meridiani”.
Sta venendo la sera e ormai è buio, in una notte siciliana: “…le finestre e i balconi sono tutti al buio; gli uccelli, rientrati nei propri nidi in forma di rondini strepitose, escono in forma di pipistrelli…” (Vol. I, pagina 160).
Leggendo queste righe, colgo un nesso che volevo sempre cogliere ma non avevo mai colto.
Le persone che parlano contemporaneamente durante un dialogo: “… quando si parla in due e non si ascolta, si pensa di aver detto la stessa cosa e di andare d’accordo…” (Vol. I, pagina 191).
A pagina 343 del primo volume definisce un colore imprecisabile come “… un colore perso… “, secondo me, bellissimo: dà il senso di doversi adoperare per individuare il colore sottostante.
“[…durante il fascismo…] Provai la gioia dell’animale da gregge: di essere d’accordo con milioni di persone (e di conseguenza coi loro prefetti, i loro giudici, la loro polizia, ecc.), e sentire, con un grado in più d’intensità, quello che, non esse, ma il loro insieme sentiva.” (Vol. I, pagina 1137).
“… questi esseri tetri come gli attori comici oppressi dalla famosa regola: Non ridere se volete far ridere!” (Vol. I, pagina 1147).
La vendetta che cova nelle classi più umili del nostro popolo può esprimersi con queste parole: “Da molti secoli, il mondo è pieno di sopraffazioni, e io sono stato sempre tra coloro che le hanno subite. Ai nostri giorni, sarebbe meglio che sopraffazioni non ce ne fossero più, ma dato che ci sono, sono contento che le faccia io agli altri piuttosto che gli altri a me!” (Vol. I, pagina 1156).
Scritto nel marzo 1949: Nella nostra Costituzione manca forse l’articolo più importante: “Quando per opera di pochi o di molti si stabilisce la tirannide, il cittadino è sciolto da tutti i suoi obblighi e giuramenti.” E poi, subito sotto: “Come posso avere gli obblighi di un uomo se non sono ancora [considerato] un uomo?” (Vol. II, pagina 444).

Scritto nel febbraio 1950: “Tuti vogliono sapere ‘ dove va il mondo ’ per andare diligentemente dietro a lui. A nessuno viene il sospetto che il mondo possa aver torto, nessuno cerca la felicità di andare per il verso opposto. “Chi ha il coraggio di dire: ‘Tutti la pensano così, dunque la verità bisogna trovarla da un’altra parte’?...  E nondimeno il progresso nasce sempre da una stonatura, da una ‘stecca’, da una voce discorde che improvvisamente esce fuori dalla partitura e va per conto suo: l’orchestra si ferma, magari protesta e grida, ma la vecchia canzone s’interrompe, e poco dopo il testo di una nuova canzone viene spiegato sui leggii.” (Vol. II, pagina 493).

Corruzione: il protagonista cerca di corrompere un pubblico funzionario, invitandolo a cena e mettendogli una mazzetta sotto il tovagliolo. Ma il funzionario non intasca la mazzetta, lasciandola sul tavolo, con la disperazione del protagonista. Il protagonista pensa: Signore, credevo di aver invitato un galantuomo, un padre di famiglia e non una bestia feroce, perché se non prende i soldi sono rovinato: mi denunzierà ai carabinieri… perché non parla? perché non prende la mazzetta?
Poi, improvvisamente, la mazzetta sparisce e il protagonista conclude: “Per fortuna, m’ero ingannato: si tratta di un brav’uomo…” (Vol. II, pagina 506). Ove si apprende che il termine ‘onesto’ è sinonimo di ‘bestia feroce’.

E a pagina 517, di fronte a un tentativo di corruzione, il protagonista così risponde: “Ho ascoltato attentamente la Sua proposta. Abbia un po’ di pazienza! Aspetti un momento. L’onestà mi passa presto. Devo stringermi le tempie e pensare a mio padre che è morto in un pigiama rattoppato. E l’onestà passa. Mio padre era un uomo onesto: a quest’ora sarà in paradiso. Ma io non voglio andarci… Aspetti ancora un minuto, e la Sua proposta, che mi sta rivoltando lo stomaco e che mi dà la voglia di cacciarla fuori dalla mia casa a pedate, io l’accetterò…”

La massa: “In verità la massa, in tutte le parti del mondo, è per suo istinto reazionaria: adora l’autorità e il miracolo. I problemi di libertà e progresso sono problemi individuali, che possono diventare popolari solo quando un popolo si sente il meno possibile massa e aspira a differenziarsi in milioni di casi personali.” (Vol. II, pagg. 543,544).

Il peccato. Brancati riporta uno scritto di Henri Beyle (Stendhal), dove si sottolinea che il piacere è sinonimo di peccato, o quanto meno lo stesso piacere è più intenso se costituisce peccato. Stendhal parla di un principessa italiana che, prendendo con delizia un gelato la sera di una giornata molto calda, esclama: “Che peccato che non sia un peccato.” (Vol. II, pagina 547).

Circa il fanatismo delle masse, scritto nel 1953: “Il fanatismo è una paralisi parziale del cervello. Questa grande epidemia ha toccato il suo culmine nel 1939: fanatici di Mussolini, di Hitler, di Stalin, di Franco, ecc. Adesso sta per terminare. Bisogna che la massa si trovi in tutta fretta un’altra forma di stupidità.” (Vol. II, pagina 612).

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