Capitolo 2 - La traduzione da Luserna.
(20101121)
Celui-là se croit Kant parce
qu'il l'a traduit.(Quel tale si crede
Kant perché l'ha tradotto.)D. Gay de Girardin (scrittrice
francese, 1806-1881), L'école des journalistes, 1, 5.
Venezia, 21 novembre 2010.
Quella mattina, Paolo Ballarin trovò sul suo tavolo
di lavoro un plico raccomandato e molto voluminoso proveniente da Luserna.
C'era una lettera d'accompagnamento, dove
s’informava che al Centro di Cultura Cimbra avevano fatto una copia anastatica
dell'originale e della traduzione e se l'erano trattenuta per ogni eventuale
necessità.
Informavano che si trattava di diari, probabilmente
scritti da gente strana, se non addirittura svitata.
La scrittura era sicuramente di due persone almeno,
se non di tre. La terza scrittura, che interveniva sempre come se fosse una
correzione degli appunti, aveva qualcosa di strano nella sua uniformità
assoluta.
In tale scrittura le lettere erano tutte uguali: la
lettera a minuscola era costantemente uguale a sé stessa; così pure la A
maiuscola e così via.
Le altre due scritture erano di persone colte, con
buona prosa, nonostante la lingua cimbra non sia solitamente ben conosciuta.
Sicuramente le due persone avevano conoscenze di altre lingue, compreso il
latino e il greco.
Ci si soffermava sulla terza scrittura, considerata
quasi disumana, come se fosse stato un computer ad eseguirne la stesura grafica
relativa. Inoltre la terza persona, o forse macchina, doveva avere una
preparazione profondissima, come se avesse saputo tutto.
Era insomma la parte più interessante del
manoscritto per la sua originalità. Come importanza filologica, il manoscritto
era da considerarsi interessante ma non troppo.
In tutto il manoscritto, i due autori parlavano del
Cansiglio, della pastorizia, e di Satana che li manteneva profumatamente.
Oltre ad alcune descrizioni etniche e topografiche
(Monte Pizzoc nel Cansiglio, Bus de la Lum) e faunistiche locali (cervi, daini,
fagiani, lepri, capre, pecore), entrambi gli autori si diffondevano su
immaginari e fantastici colloqui con Satana e su storie da lui raccontate.
Erano storie cosmogoniche, psicologiche,
psichiatriche, etniche, politiche, storiche, religiose e così via: fantasie,
insomma.
Una cosa
interessante era che la terza mano, ovvero la terza persona, ovvero la
ipotetica macchina, scriveva sempre e solo per effettuare delle annotazioni in
calce ai colloqui con questo immaginario Satana. Nient'altro. Sconsigliavano di
leggerlo: sarebbe stato solo tempo sprecato.
Allegavano la
fattura per il loro lavoro, molto salata.
Al che, Paolo Ballarin procedette a numerare il manoscritto col primo
numero libero, il 306666 (numerò inoltre la traduzione in italiano col numero
306666/T_it) e a metterlo in cassaforte tra i documenti importanti da leggere.
Di questa cassaforte, solo lui aveva le chiavi.
Pensò: “Bravi, quelli di Luserna, molto bravi… ti
rispondono dopo sei mesi, noi paghiamo profumatamente e loro se ne sono fatta
una copia… ora telefono perché, quanto
meno, mi avrebbero dovuto chiedere il permesso: la Querini Stampalia non può
lasciare in giro copie... ”.
Paolo: “Qui parla Paolo Ballarin della Querini
Stampalia di Venezia: volevo parlare… “
Una voce rispose: “Ballarin, sono Rauter del Centro
di Cultura Cimbra: è successo un fatto incredibile.
Avevamo fatto una copia dell'originale e della
traduzione del suo manoscritto.
Li avevamo
lasciati su una scrivania, vicino ad una finestra. Improvvisamente, hanno preso
fuoco e sono andati distrutti. Siamo a novembre e non può essere stato il sole:
con ogni probabilità è stata una forma di autocombustione.
Avevamo una versione elettronica nel computer: per
fatalità, il disco si è sfasciato ed abbiamo perso tutto. Potrebbe rimandarci una
copia? Qui, scherzando, abbiamo detto che potrebbe essere opera del Satana
citato nel manoscritto… ”
Ballarin balbettò: “Va bene… ”
Era talmente colpito che s'era dimenticato di fare
il calzettone a Rauter. Non voleva demordere e, per mantenere il prestigio
della biblioteca, il giorno dopo richiamò Rauter per dirgli che almeno potevano
chiedere il permesso di tenersene una copia, anche se tale copia, ormai, non
c'era più. Gli passarono Rauter, il quale disse: “Buon giorno, in cosa posso
esserle utile? ”
Ballarin: “Rauter, sono Ballarin: ci siamo parlati
ieri del manoscritto… del fuoco… ”
Rauter: “Quale manoscritto? Quale fuoco? Io non la conosco… “
Paolo Ballarin sentì un brivido lungo la schiena: a
Luserna non c'era più niente, né ricordi, né documenti scritti, né supporti
magnetici, niente… si ricordò il cimbro morto per un ictus e, se possibile, rabbrividì ancora di
più.
Paolo: “Ma… e per la vostra fattura?”
Rauter: “Ma di che fattura parla? Ha tempo da
perdere?” e sbatté giù il telefono.
Paolo, a sua volta, mise giù la cornetta senza
aggiungere altro e, presa la chiave, si avviò verso la cassaforte.
La aprì e vide il manoscritto: era là, tranquillo,
innocente, in attesa di chissà cosa… da quel momento Paolo fu un'altra persona.
Improvvisamente si ricordò che il numero assegnato in automatico dal computer
era il 306666: andò a controllare e si accorse che il numero era corretto.
6666, il numero di Satana… possibile?
Allora controllò la lettera di accompagnamento
inviata dal Centro di Cultura Cimbra: era un numero qualsiasi, 1456/GN. La
fattura era la 226. Tutto finiva col numero sei.
Telefonò nuovamente a Luserna ma questa volta non
chiese di Rauter. Disse alla segretaria: “Signorina, ho qui una vostra
accompagnatoria da archiviare, il numero è 1456, tuttavia non si legge la sigla
dell'operatore: vuole controllare e comunicarmela? Inoltre la fattura numero
226 non ha il destinatario corretto”.
Dopo un minuto circa la signorina tornò al telefono
dicendo che l'ultimo numero protocollato era il 1455/GN e GN era lei in
persona. Il sei finale non era ancora stato utilizzato. Inoltre l’ultima
fattura emessa dal loro ufficio era la 225. Grazie e arrivederci.
Paolo ripose la cornetta e rimase a bocca aperta: il
sei finale era sempre il numero di Satana; quel documento non esisteva più a
Luserna… la fattura in suo possesso poteva essere considerata ufficialmente un falso o qualcosa del genere.
E per il pagamento? Paolo gettò la fattura nel
cestino delle cartacce.
Pensò che
anche il maestro d'ascia avesse dimenticato tutto e così anche il falegname
cimbro del Cansiglio.
Chiamò subito Giuponi, il quale ricordava tutto
perfettamente. Poi Paolo aggiunse: “Giuponi, per cortesia, mi dia il numero di
Luigi Bortolot perché lo voglio tranquillizzare e ringraziare…”
A Luserna tutto scompare.
Allora, solo in quel di Luserna non era rimasto più
niente: “Diavolo di un Satana… ”, pensò. Tuttavia, un sesto senso gli diceva di
non andare ulteriormente a fondo, di lasciar stare… e così fece. Aperta la
cassaforte, prese la versione italiana del manoscritto.
La copia italiana, redatta al computer, era di una
certa mole e avrebbe richiesto alcuni giorni per essere letta con attenzione.
Decise di prendere appunti in un quaderno dei passi più importanti e si mise
all’opera.
Una nota introduttiva, fatta in quel di Luserna,
diceva che, sulla sinistra di ogni riga, era riportato un numero romano, da uno
a tre, dove i primi due erano gli autori del diario e il numero tre si riferiva
a chi aveva fatto le annotazioni, là dove si parlava di Satana.
Le prime pagine del volume, scritte da Antonio
Azzalini, padre di Bruno, erano un riassunto della sua vita, sino al momento
della tenuta del diario. Antonio scriveva di essere nato a Vallorch nel 1910 e
si compiaceva della sua laurea in lingue, conseguita a Venezia. Scriveva in
cimbro per aumentare la segretezza del diario. Faceva il pastore ma, da un
punto di vista finanziario, «La nostra
famiglia non ha mai avuto né avrà mai in futuro problema alcuno».
L'affermazione suonava troppo sicura, quasi
arrogante e in un certo senso contribuiva a creare in lui un senso
d'inquietudine: «non avrà mai in
futuro», diceva proprio così…
Pensò: “Un cimbro pastore, abitante su di un cocuzzolo
di montagna, laureato in lingue e mantenuto da Satana… mi dovrei dare un
pizzicotto perché forse sto sognando… “
Si ricordò
del filosofo cinese Chuang-tzu,[1] il quale diceva che
forse si era svegli quando si credeva di sognare e viceversa, qualcosa come
nelle Metamorfosi di Franz Kafka.
Fuor di metafora, forse aveva sempre dormito di
fronte alla vita e solo in questi frangenti si stava risvegliando e cominciava
a conoscere una realtà affatto diversa dalle sue attese.
Paolo Ballarin terminò di stendere i suoi appunti
nel giorno di san Valentino, 14 febbraio 2011.
Terminati gli appunti, ripose la versione italiana
del testo originale nella cassaforte e fece una dozzina di copie degli appunti
stessi. Sistemò le copie in posti strategici. Alcune copie le mise a casa
propria, alcune in ufficio, tre nella
cassetta di sicurezza della sua banca.
Poi chiamò
suo figlio Toni e disse: “Tu compirai diciotto anni nel 2018 e mancano pertanto
sette anni alla tua maggiore età: se non ci sarò più, ti prenderai dalla
cassetta di sicurezza della nostra banca una o più copie di alcuni miei appunti
che portano il titolo «Cimbri 2043», e te li leggerai attentamente. Prenditi
nota del titolo.
All'interno troverai anche un foglio che ti dirà a
quale originale facciano riferimento.
Si tratta di una cosa molto importante e, dato il
contenuto, ritengo che per ora sia meglio che tu non li legga.
Se invece alla tua maggiore età io sarò ancora vivo,
cosa che mi auguro possa accadere, sarà mia cura informarti di tutto “.
Toni rispose: “Papà, perché 2043? Perché cimbri? “
Paolo: “Per quanto riguarda i cimbri, ormai hai
undici anni e questa è una bella occasione per fare una ricerca sul web.
Circa il 2043, non posso risponderti, altrimenti
sarebbe come rilevare tutto. Ti prego gentilmente di non farmi altre domande e
che questo rimanga veramente un segreto tra noi due; grazie “.
Toni capì che, anche insistendo, non avrebbe cavato
il ragno dal buco e che il padre era deciso a non parlare.
Suo padre faceva un lavoro affascinante e sperava in
futuro di fare qualcosa del genere anche lui per dimostrare le proprie
capacità.
Per fare
meglio, c'era una sola possibilità: la Biblioteca Marciana oppure il Museo
Correr, entrambi in piazza San Marco oppure qualche altro degli innumerevoli
musei della città.
Per questo era intenzionato a laurearsi in storia,
che gli sembrava la laurea più adatta e omnicomprensiva. Inoltre suo padre gli
aveva detto che gli storici erano sempre bene accolti nei musei.
Dopo il colloquio col figlio, Paolo Ballarin inviò
tramite corriere due copie a suo fratello Pietro, che da parecchio tempo viveva
a New York, accludendo una lettera dove lo pregava di fare a suo figlio Martin
lo stesso discorso che lui aveva fatto al proprio figlio Toni: lo scopo di
Paolo era di spargere gli appunti un po’ qua e un po’ là, per evitare
rischi.
Pietro e Paolo erano quasi coetanei: Pietro era nato
nel 1977 e Paolo nel 1974; avevano quindi rispettivamente 34 e 37 anni.
Si erano sposati entrambi abbastanza giovani ed
entrambi avevano avuto un figlio nel 2000. I due ragazzi erano pertanto
coetanei ed avevano in quel momento undici anni.
Quando Pietro e Paolo si sentirono al telefono,
Paolo fu informato del fatto che anche suo nipote Martin aveva fatto suppergiù
le stesse domande.
Pietro, Martin e Toni quasi dimenticarono
l’episodio: non fu così per Paolo Ballarin, perché gli episodi correlati a «Cimbri 2043» erano
stati veramente fuori dal normale.
In ogni caso,
Paolo non chiese mai al fratello se avesse letto completamente i suoi appunti.
Sembrava tuttavia di sì, perché durante una cena di Natale a New York, Pietro
disse: “Sai, fratellino, mi piacerebbe leggere anche l'originale… ” Poi, tra un
brindisi e un augurio di Buon Natale, il discorso non ebbe più seguito.
I ragazzi leggono gli appunti di Paolo
Ballarin.
New York
e Venezia, 30 giugno 2018.
Martin e Toni Ballarin avevano compiuto i diciotto
anni fatidici ed avevano letto entrambi gli appunti di Paolo. Uno di qua e uno
di là dell'Atlantico, si stavano scambiando l'opinione che si trattava di una
cosa incredibile.
Avevano una voglia matta di parlarne con gli amici,
forse solo per darsi una certa importanza, ma c'era la proibizione assoluta di
Paolo Ballarin, zio di uno e padre dell'altro. E su questo i ragazzi sapevano
già che tale decisione era irrevocabile. Inoltre, nel caso fosse venuto a galla
che avevano parlato con qualcuno, non avrebbero più avuto in lettura gli
originali: questa era la minaccia di Paolo.
I ragazzi non vedevano l'ora di leggere gli
originali, anche se Paolo aveva spiegato che li avrebbe forniti non appena si
fossero laureati e a patto che la notizia non fosse stata in seguito diffusa.
D'altronde, gli appunti incutevano un certo timore
per le implicazioni del loro contenuto e Paolo aveva fatto capire tra le righe
che non erano cose su cui scherzare. Parlarono del 2043, citato nel titolo
degli appunti. Secondo una stima effettuata da Paolo Ballarin e riportata
debitamente negli appunti, nel periodo tra il 2042 e il 2045 si sarebbe dovuto
assistere a qualcosa di eccezionale per la storia dell'umanità.
Questo si ricavava dalle annotazioni effettuate
dalla 'terza mano' nelle chiose a commento dei discorsi di Satana. Insomma, se
era veramente Satana che chiosava, lo stesso scriveva che in tale periodo tutte
le intelligenze dell'universo avrebbero fatto il punto sull'umanità. Inoltre i
ragazzi avevano l'ordine di non parlare per telefono: avrebbero potuto farlo
solamente di persona alla prima occasione.
Il resto degli appunti faceva riferimento ai diari,
a una storia dell'umanità rivista in base ai dialoghi tra uno o l'altro dei due
cimbri e Satana (ma era poi tale? Non era forse solo un'invenzione?).
Sembravano
insomma appunti di un discorso di fantascienza, con tanto di angeli sui carri
di fuoco, piramidi, Roswell, Ufo… le solite storie incredibili.
I ragazzi tendevano a sottovalutare gli episodi
vissuti da Paolo in prima persona e dei quali erano comunque al corrente, come
la sparizione dei documenti e dei ricordi da Luserna e così via.
Certamente la sottovalutazione dipendeva dal fatto
che, nonostante tutto, il discorso dello zio-padre Paolo sembrava poco
probabile, forse al momento degli accadimenti era stanco, chissà… se avessero
potuto vedere gli originali…
[1] Oppure Zhuangzi (Zhuang-zi), filosofo cinese (370 a.C.? †301 a.C.?). Il suo libro di filosofia,
notissimo, si chiama appunto col suo nome, Zhuangzi. Si dice che se in
una biblioteca dovessero esserci solo i dieci migliori libri al mondo, lo
Zhuangzi sarebbe tra questi.
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