A117 Estratto de La
Nube di Oort
Vi offro i primi
capitoli del mio nuovo romanzo, così come stabilito da Amazon.
Ernesto Giorgi
Questo romanzo è un’opera di pura fantasia,
scritta esclusivamente per il divertimento del lettore.
Ogni riferimento a personaggi oppure a fatti reali,
passati o presenti,
è da considerarsi puramente casuale.
passati o presenti,
è da considerarsi puramente casuale.
Dedica
Questo
scritto è dedicato agli adulti che sono rimasti bambini.
Essendo
bambini, hanno il cuore puro ed onesto e pertanto saranno rifiutati dalle caste oggi al potere: nessuno li vuole
e, se per errore qualcuno li ha voluti, se ne sbarazzerà non appena possibile
perché la loro correttezza può essere pericolosa.
Loro
dovrebbero essere orgogliosi di non essere apprezzati dai disonesti: ed invece,
influenzati dai costumi odierni, si sentono piuttosto dei falliti, dei
disadattati.
Molto
spesso i loro parenti, per primi, non li stimano: "Guarda Tizio, guadagna
più di te... Guarda poi Caio, sembrava uno stupido e ha fatto carriera: egli
vive e lascia vivere, non è un pignolo come te, non s'inalbera per ogni
disonestà... Guarda anche Sempronio: è vero che ha un processo in corso per
concussione, ma viaggia in Ferrari... "
Quante
volte siamo stati influenzati dai parenti? Forse, molto spesso: la correttezza
non è di moda, non fa fino.
Il
suggerimento della gente è: carpe diem...
cogli l'occasione, caro mio, cerca di approfittare...
Da molto
tempo ormai, quando si chiacchiera, vale l'opinione della maggioranza:
Alessandro Manzoni, tuttavia, non faceva parte della maggioranza e nemmeno il
Cardinale Borromeo...
Alcuni di
noi, pochi in verità, pensano che i veri falliti e i veri disadattati siano i
disonesti, oggi di moda: chi ha barattato la felicità per qualcosa di meno
degno; chi ha svenduto il proprio essere
per ottenere in cambio l'avere.
Magra
consolazione, comunque: per accettare una posizione onesta del genere, ci vuole
molta, molta forza e bisogna soprattutto saper tacere e mandar giù, perché il
proverbio della volpe e dell'uva è sempre in agguato.
La persona
onesta sarà sempre ipocritamente apprezzata di fronte e sbeffeggiata quando
girerà le spalle: tale persona sarà dunque sempre ed irrimediabilmente sola.
Questo scritto vuole offrire ai puri di cuore
una speranza.
Questo scritto vuole offrire ai puri di cuore
almeno un sogno: quello di poter cambiare qualcosa, anche se in un futuro non troppo vicino.
Capitolo 1 - Il Maestro d'ascia. (20100422)
Ciò che ho affermato, può essere vero oppure non esserlo. Perché il popolo
ci creda, è sufficiente che sia verosimile e che lo dica il Doge di Venezia. (Paolo Lucio Anafesto [Paolucio], primo Doge di Venezia dal 697 al 717 (Oderzo,
640? † Venezia, 717?).
Venezia, 22 aprile
2010.
Giovanni Giuponi era maestro d'ascia allo squero[1]
di San Trovaso in Venezia. Il
Patriarcato aveva comunicato che l'anno prossimo il Papa sarebbe venuto per una
visita pastorale. Si desiderava fare bella figura: Sua Santità avrebbe fatto un
brevissimo tragitto in gondola dalla Piazzetta di San Marco sino alla chiesa della
Salute. Naturalmente, precisava il sindaco, non a bordo di una gondola
qualunque che al massimo poteva avere due gondolieri, bensì a bordo di una
bissona, una gondola speciale che poteva accogliere sino ad otto rematori,
lunga oltre dodici metri, di quelle che si usavano per la Regata Storica, per
lo Sposalizio del Mare[2].
Giuponi pensò
che forse le dieci bissone a disposizione nello squero fossero troppo grandi.
Il suo pensiero andò alla Dogaressa, più piccola delle bissone e a quattro remi
soltanto, molto decorata e a pianta simmetrica. La Dogaressa era più
maneggevole di una bissona e le dimensioni erano comunque più importanti e
sontuose di una gondola tradizionale. Inoltre il colore non era il luttuoso
nero, voluto secoli addietro da Marin Faliero,[3]
ma bianco con profili rossi. Giuponi pensò che tale imbarcazione, com'era
andata bene per il Doge, potesse essere
la soluzione migliore anche per il Papa. Si trattava di calafatarla[4]
ed aggiungervi qualche tocco di giallo, in modo che i colori predominanti
divenissero quelli vaticani.
Figura 1 - Venezia: squero con gondole da cerimonia.
Restava il problema dei remi: nello squero ne aveva
sei ma non erano nuovi ed erano tutti lunghissimi. Lui ne voleva otto, tutti
nuovi, quattro lunghi e quattro normali. Ne avrebbe usati due lunghi e due
normali per lo spostamento del Papa ed altrettanti li avrebbe tenuti di
riserva, in caso di problemi. Otto remi nuovi di faggio, lucidi, belli e senza
il pericolo che i gondolieri si piantassero delle schegge nelle mani.
Verniciati a nuovo con cera diluita in essenza di trementina.[5]
Bisognava andare a prendere il legno di faggio nel
Cansiglio, nel paesino di Vallorch, da certi falegnami cimbri che conosceva
lui. Pure il padre di Giovanni Giuponi, Adelchi, era cimbro e maestro d'ascia:
era arrivato a Venezia, allo squero di San Trovaso, chiamato dal sovrintendente
comunale della città.
La Serenissima ottenne la sovranità del Cansiglio
nel 1404 e da quella volta il bosco a faggeta locale acquistò enorme importanza: ogni albero era registrato
e veniva pure annotato l'anno in cui si sarebbe proceduto al taglio. Questo
durò sino alla caduta di Venezia nel 1797 ma la tradizione e i rapporti con gli
abitanti del Cansiglio continuarono. Continuò anche la tradizione che i cimbri
taglialegna si recassero a Venezia per lavorare negli squeri e nell'Arsenale [6]
di dantesca memoria.[7]
Antonio Giuponi era pur sempre uno di loro, benché a
Vallorch ci fosse stato solo due o tre volte, assieme a suo padre.
Arrivato a Vallorch, Giovanni Giuponi si recò dai
falegnami e chiese di Luigi Bortolot, proprietario cimbro della segheria. Disse
a Luigi di essere il figlio di Adelchi e di essere l'attuale maestro d'ascia
dello squero di San Trovaso. Aggiunse che aveva bisogno di otto remi in faggio
e chiese di vedere il materiale. Con un tono riservato, Luigi gli disse: “Ti
accontento, ma mi dovresti fare un enorme piacere: dovresti portare a Venezia,
non so bene da chi, un certo pacco; se mi dici di sì, prima parliamo dei remi e
poi del pacco... “
Giovanni: “Nei limiti del possibile, ti accontenterò
senz'altro; d'altronde, farò poca fatica a consegnare un pacco a Venezia,
sempre che non sia una bomba… “
Luigi: “Ma quale bomba, c'è dentro un libro, uno
scartafaccio o qualcosa del genere; c'è di mezzo un morto preannunciato da sé…
dopo ne parliamo… ora vediamo il faggio per i remi e poi ti darò anche
dell’essenza di trementina distillata dai nostri larici “.
Il faggio era ottimo, evaporato come si deve e la
trementina era perfetta: si accordarono per tutti i dettagli e andarono in una
trattoria vicina per parlare. Luigi disse che attraverso un bicchiere di vino
Merlot ci si guardava meglio: Giovanni convenne.
Luigi: “Un giorno di alcuni mesi fa è venuto in falegnameria un cimbro
mio amico, pastore, molto colto,
benestante, laureato in materie storiche a Padova.
Si chiamava Bruno Azzalini. Anche suo padre faceva
il pastore ed era laureato in lingue a Venezia.
Quando l'altro giorno son venuto a sapere che anche il
figlio di Bruno si è laureato in composizione all'Accademia di Venezia, mi sono
chiesto come possa quella famiglia avere tutti quei quattrini “.
Il
pacco dei manoscritti.
Luigi: “Per farla breve, mi disse che doveva
affidarmi questo famoso pacco, perché per lui il tempo su questa terra stava
per scadere e non poteva lasciare il pacco al figlio Carlo (quello
dell'Accademia) perché era ancora troppo giovane; non mi dette alcuna
spiegazione circa i motivi che lo spingevano a considerare il figlio musicista
troppo giovane per custodire il pacco.
Benché non ci fosse fretta, dovevo essere così
gentile da far pervenire il pacco in qualche centro culturale, tradizionale,
serio, per esempio una biblioteca o un museo.
Aveva pensato a me perché sapeva dei miei rapporti
con Venezia e anche perché il tempo della sua vita, diceva lui, stava per
finire.
Mi disse che sarebbe morto entro breve per un ictus
cerebrale e mi fece giurare che avrei seguito le istruzioni per il pacco.
Mi offrì una grossa somma di denaro per il mio
servizio. Accettai, ci salutammo e dopo una settimana morì: ictus cerebrale…
non mi ero dimenticato del pacco, ma poco ci mancava.
Fui talmente impressionato dalla sua morte
annunciata che mi venne la voglia di gettare il pacco nella spazzatura. Ma non
lo feci o meglio, non fui capace di farlo, perché una voce dentro mi diceva in
continuazione che avevo giurato, avevo giurato… dal tono erano implicite delle
minacce, se avessi trasgredito. Inoltre, avevo accettato il denaro.
Ed eccomi qua. Appena torniamo in falegnameria, ti
vorrei consegnare il pacco da portare a Venezia; posso darti una parte del
denaro… ”
Giovanni: “Non voglio denaro, l'accordo è che mi
farai i remi.”
Giovanni Giuponi era esterrefatto e continuava a
chiedere a Luigi Bortolot se fosse sicuro di quanto detto. Luigi confermava: si
trattava di un manoscritto e, da quello che aveva capito, il manoscritto era
per circa metà opera del padre del pastore, cioè Antonio e per il resto opera
del pastore stesso, Bruno.
Aggiunse che il musicista Carlo, figlio del morto,
si era fatto vedere varie volte in osteria: sembrava in ogni caso che non
sapesse niente del pacco consegnato da suo padre a Luigi Bortolot.
Tornati in falegnameria, Giovanni Giuponi si fece
consegnare il pacco, ripromettendosi di darlo al più presto a qualcuno, in quel
di Venezia.
Giovanni tornò a casa, a Venezia, in campo Santa
Maria Formosa. Durante la notte non chiuse occhio pensando al pacco.
Fra un pensiero e l'altro, si ricordò che al numero
5252, vicino a casa sua, si trovava la gloriosa biblioteca Querini Stampalia.
Pensò: “Domani mattina, chiamo subito la biblioteca
e così la facciamo finita con questo manoscritto: con tutto quello che ho da
fare... “
All'orario di apertura, la segretaria della
biblioteca sentì il telefono che squillava. Giovanni: “Signorina, io sono
Giovanni Giuponi e ho ricevuto l'incarico di consegnarvi un manoscritto per cui
vorrei parlare con qualcuno ”.
“Sono Paolo Ballarin, direttore della Querini
Stampalia: in che cosa posso esserle utile? “
Giovanni: “Sono Giovanni Giuponi, maestro d'ascia
dello squero di San Trovaso della Cooperativa Gondolieri... ieri ero nel Cansiglio, a
Vallorch, e mi hanno consegnato un pacco che probabilmente contiene un
manoscritto; ho l’incarico di consegnarlo a un‘importante biblioteca e così ho
pensato a voi; vorrei venire anche subito “.
Ballarin: “Grazie per il pensiero; devo comunque
chiamare i Carabinieri, i quali dovranno essere presenti: mi lasci il suo
numero di telefono ”.
Giuponi lasciò il numero e chiuse la comunicazione.
Dopo dieci minuti suonò il telefono ed era Paolo Ballarin: “Signor Giuponi,
venga pure tra mezz'ora: nel frattempo arriveranno anche i Carabinieri ”.
Giovanni Giuponi si preparò e nel tempo di mezz'ora
fu in biblioteca. Non fece a tempo di chiedere di Paolo Ballarin che due
carabinieri, uno con la pistola in pugno, lo avvicinarono e lo perquisirono.
Chiesero del pacco e lo stesso fu esaminato con uno
strumento elettronico infernale. Superati tutti gli esami, Giovanni fu
introdotto, col suo pacco, nello studio di Paolo Ballarin. I Carabinieri
rimasero presenti per controllare cosa potesse succedere.
Giovanni Giuponi raccontò la storia di Luigi Bortolot,
il falegname di Vallorch, per filo e per segno.
Paolo Ballarin: “Giuponi, qui ne sentiamo tante, ma
questa ha dell'incredibile ”
Allungò le mani sul pacco con fare appassionato e
tolse il primo involucro di carta-paglia giallastra, di quella carta che usano
i macellai.
Esisteva un altro involucro che avvolgeva, legato
con lo spago, un voluminoso plico di fogli manoscritti.
Questo involucro recava una scritta manuale:
Zimbar Earde: Sprichwörter
S’ista di sun und renk, dar Taüvl hat geschlakh soi baibe.
Ballarin si rivolse ai due carabinieri per dire loro
che potevano accomiatarsi. I carabinieri si fecero firmare un documento sia dal
Ballarin Paolo che dal Giuponi Giovanni, salutarono e se ne andarono.
Paolo Ballarin disse: “Che lingua sarà mai… Sprichwörter è tedesco, sun è inglese, ma il suo articolo di sembra sassone antico. Earde sembra tedesco antico e così pure
sembrano dar, hat e geschlakh. Quindi
potrebbe essere… Terra, Proverbi… il sole e pioggia, il Diavolo ha battuto … “
Giuponi: “Io sono cimbro e a Vallorch parlano il… “
Ballarin non lo lasciò finire: “Cimbro! Certamente!
E' una lingua sassone del tredicesimo secolo, dell'alta Baviera, qualcuno dice
Danimarca… quindi Zimbar è un aggettivo per Cimbro. Abbiamo allora: Proverbi della Terra Cimbra. Sole e pioggia, il Diavolo ha battuto...
Il Diavolo … mah, non so, lo dobbiamo far tradurre a Luserna in Trentino, al
Centro di Cultura Cimbra. Telefono subito… “
Giuponi: “Scusi direttore, io sono preso con i remi
per il Papa e me ne andrei…”
Ballarin: “Come? I remi per il Papa? “
Giuponi: “Non ha importanza: le lascio il
manoscritto e se non le dispiace, me ne vado… ”
Ballarin: “Va bene, Giuponi, la ringrazio per conto
della biblioteca e la saluto. Comunque ho guardato il manoscritto: sembra tutto
nella lingua cimbra, se è tale… grazie di nuovo; ho il suo numero di telefono e
lei ha il mio.
Per adesso, arrivederci “.
Giuponi: “Speriamo invece di non rivederci perché
questo non è il mio mondo; quando lo avrà tradotto, mi basterà una telefonata
per soddisfare la mia curiosità. Addio
” E se ne andò allo squero. Telefonò a
Bortolot per comunicare le novità e tranquillizzarlo. Ora poteva e doveva
pensare ai remi per Sua Santità.
[1] Edificio di stile
montanaro atto alla costruzione e riparazione di imbarcazioni lignee: gli
operai erano solitamente montanari del Cansiglio e lo squero era costruito da
loro. Inconfondibile perché avulso dall'architettonica veneziana. Lat. 45.431078°
N, long. 12.326531° E
[2] Celebrato il giorno
dell'Ascensione (Festa della Sensa). Costituito intorno all'anno 1000, tale
sposalizio simboleggiava il dominio marittimo di Venezia sul mare. Consisteva
in una processione di imbarcazioni, durante la quale il Doge gettava un anello d'oro nelle acque
antistanti la bocca di porto del Lido.
[3] Doge di Venezia(55°) dal
1354 al 1355, decapitato per alto tradimento. In realtà per aver sminuito i
potenti.
[4] Francesismo: cospargere la
chiglia di pece nera per impermeabilizzarla.
[5] Dal greco terebinthos,
terebinto, un albero dalla cui linfa la trementina era distillata. La
trementina di Venezia si ottiene invece dal larice comune del Cansiglio.
[6] Dall'arabo Dârçanah, casa di lavoro, da cui anche
Dàrsena.
[7] Quale ne l’arzanà de’ Viniziani bolle l’inverno la
tenace pece a rimpalmare i legni lor non sani…(Dante, Inferno, canto XXI).
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