domenica 1 aprile 2012

A117 Estratto de La Nube di Oort - Capitolo 1


A117 Estratto de La Nube di Oort
Vi offro i primi capitoli del mio nuovo romanzo, così come stabilito da Amazon.

Ernesto Giorgi


La Nube di Oort













  





                          

Questo romanzo è un’opera di pura fantasia, scritta esclusivamente per il divertimento del lettore.

     Ogni riferimento a personaggi oppure a fatti reali,
passati o presenti,
è da considerarsi puramente casuale.





Dedica
Questo scritto è dedicato agli adulti che sono rimasti bambini.
Essendo bambini, hanno il cuore puro ed onesto e pertanto saranno rifiutati  dalle caste oggi al potere: nessuno li vuole e, se per errore qualcuno li ha voluti, se ne sbarazzerà non appena possibile perché la loro correttezza può essere pericolosa.
Loro dovrebbero essere orgogliosi di non essere apprezzati dai disonesti: ed invece, influenzati dai costumi odierni, si sentono piuttosto dei falliti, dei disadattati.
Molto spesso i loro parenti, per primi, non li stimano: "Guarda Tizio, guadagna più di te... Guarda poi Caio, sembrava uno stupido e ha fatto carriera: egli vive e lascia vivere, non è un pignolo come te, non s'inalbera per ogni disonestà... Guarda anche Sempronio: è vero che ha un processo in corso per concussione, ma viaggia in Ferrari... "
Quante volte siamo stati influenzati dai parenti? Forse, molto spesso: la correttezza non è di moda, non fa fino.
Il suggerimento della gente è: carpe diem... cogli l'occasione, caro mio, cerca di approfittare...
Da molto tempo ormai, quando si chiacchiera, vale l'opinione della maggioranza: Alessandro Manzoni, tuttavia, non faceva parte della maggioranza e nemmeno il Cardinale Borromeo...
Alcuni di noi, pochi in verità, pensano che i veri falliti e i veri disadattati siano i disonesti, oggi di moda: chi ha barattato la felicità per qualcosa di meno degno; chi ha svenduto il proprio essere per ottenere in cambio l'avere.
Magra consolazione, comunque: per accettare una posizione onesta del genere, ci vuole molta, molta forza e bisogna soprattutto saper tacere e mandar giù, perché il proverbio della volpe e dell'uva è sempre in agguato.
La persona onesta sarà sempre ipocritamente apprezzata di fronte e sbeffeggiata quando girerà le spalle: tale persona sarà dunque sempre ed irrimediabilmente sola.

 Questo scritto vuole offrire ai puri di cuore una speranza.

 Questo scritto vuole offrire ai puri di cuore almeno un sogno: quello di poter cambiare qualcosa, anche se  in un futuro non troppo vicino.


                   L ’ autore








Capitolo 1 - Il Maestro d'ascia. (20100422)


Ciò che ho affermato, può essere vero oppure non esserlo. Perché il popolo ci creda, è sufficiente che sia verosimile e che lo dica il Doge di Venezia. (Paolo Lucio Anafesto [Paolucio], primo Doge di Venezia dal 697 al 717 (Oderzo, 640?  † Venezia, 717?).

Venezia, 22 aprile 2010.
Giovanni Giuponi era maestro d'ascia allo squero[1] di San Trovaso in Venezia.  Il Patriarcato aveva comunicato che l'anno prossimo il Papa sarebbe venuto per una visita pastorale. Si desiderava fare bella figura: Sua Santità avrebbe fatto un brevissimo tragitto in gondola dalla Piazzetta di San Marco sino alla chiesa della Salute. Naturalmente, precisava il sindaco, non a bordo di una gondola qualunque che al massimo poteva avere due gondolieri, bensì a bordo di una bissona, una gondola speciale che poteva accogliere sino ad otto rematori, lunga oltre dodici metri, di quelle che si usavano per la Regata Storica, per lo Sposalizio del Mare[2].
 Giuponi pensò che forse le dieci bissone a disposizione nello squero fossero troppo grandi. Il suo pensiero andò alla Dogaressa, più piccola delle bissone e a quattro remi soltanto, molto decorata e a pianta simmetrica. La Dogaressa era più maneggevole di una bissona e le dimensioni erano comunque più importanti e sontuose di una gondola tradizionale. Inoltre il colore non era il luttuoso nero, voluto secoli addietro da Marin Faliero,[3] ma bianco con profili rossi. Giuponi pensò che tale imbarcazione, com'era andata  bene per il Doge, potesse essere la soluzione migliore anche per il Papa. Si trattava di calafatarla[4] ed aggiungervi qualche tocco di giallo, in modo che i colori predominanti divenissero quelli vaticani.



Figura 1 - Venezia: squero con gondole da cerimonia.

Restava il problema dei remi: nello squero ne aveva sei ma non erano nuovi ed erano tutti lunghissimi. Lui ne voleva otto, tutti nuovi, quattro lunghi e quattro normali. Ne avrebbe usati due lunghi e due normali per lo spostamento del Papa ed altrettanti li avrebbe tenuti di riserva, in caso di problemi. Otto remi nuovi di faggio, lucidi, belli e senza il pericolo che i gondolieri si piantassero delle schegge nelle mani. Verniciati a nuovo con cera diluita in essenza di trementina.[5]
Bisognava andare a prendere il legno di faggio nel Cansiglio, nel paesino di Vallorch, da certi falegnami cimbri che conosceva lui. Pure il padre di Giovanni Giuponi, Adelchi, era cimbro e maestro d'ascia: era arrivato a Venezia, allo squero di San Trovaso, chiamato dal sovrintendente comunale della città.
La Serenissima ottenne la sovranità del Cansiglio nel 1404 e da quella volta il bosco a faggeta locale acquistò enorme importanza: ogni albero era registrato e veniva pure annotato l'anno in cui si sarebbe proceduto al taglio. Questo durò sino alla caduta di Venezia nel 1797 ma la tradizione e i rapporti con gli abitanti del Cansiglio continuarono. Continuò anche la tradizione che i cimbri taglialegna si recassero a Venezia per lavorare negli squeri e nell'Arsenale [6] di dantesca memoria.[7]
Antonio Giuponi era pur sempre uno di loro, benché a Vallorch ci fosse stato solo due o tre volte, assieme a suo padre.
Arrivato a Vallorch, Giovanni Giuponi si recò dai falegnami e chiese di Luigi Bortolot, proprietario cimbro della segheria. Disse a Luigi di essere il figlio di Adelchi e di essere l'attuale maestro d'ascia dello squero di San Trovaso. Aggiunse che aveva bisogno di otto remi in faggio e chiese di vedere il materiale. Con un tono riservato, Luigi gli disse: “Ti accontento, ma mi dovresti fare un enorme piacere: dovresti portare a Venezia, non so bene da chi, un certo pacco; se mi dici di sì, prima parliamo dei remi e poi del pacco... “
Giovanni: “Nei limiti del possibile, ti accontenterò senz'altro; d'altronde, farò poca fatica a consegnare un pacco a Venezia, sempre che non sia una bomba… “
Luigi: “Ma quale bomba, c'è dentro un libro, uno scartafaccio o qualcosa del genere; c'è di mezzo un morto preannunciato da sé… dopo ne parliamo… ora vediamo il faggio per i remi e poi ti darò anche dell’essenza di trementina distillata dai nostri larici “.
Il faggio era ottimo, evaporato come si deve e la trementina era perfetta: si accordarono per tutti i dettagli e andarono in una trattoria vicina per parlare. Luigi disse che attraverso un bicchiere di vino Merlot ci si guardava meglio: Giovanni convenne.
Luigi: “Un giorno di alcuni mesi fa è venuto in falegnameria un cimbro mio amico, pastore, molto colto, benestante, laureato in materie storiche a Padova.
Si chiamava Bruno Azzalini. Anche suo padre faceva il pastore ed era laureato in lingue a Venezia.
Quando l'altro giorno son venuto a sapere che anche il figlio di Bruno si è laureato in composizione all'Accademia di Venezia, mi sono chiesto come possa quella famiglia avere tutti quei quattrini “.

Il pacco dei manoscritti.


Luigi: “Per farla breve, mi disse che doveva affidarmi questo famoso pacco, perché per lui il tempo su questa terra stava per scadere e non poteva lasciare il pacco al figlio Carlo (quello dell'Accademia) perché era ancora troppo giovane; non mi dette alcuna spiegazione circa i motivi che lo spingevano a considerare il figlio musicista troppo giovane per custodire il pacco.
Benché non ci fosse fretta, dovevo essere così gentile da far pervenire il pacco in qualche centro culturale, tradizionale, serio, per esempio una biblioteca o un museo.
Aveva pensato a me perché sapeva dei miei rapporti con Venezia e anche perché il tempo della sua vita, diceva lui, stava per finire.
Mi disse che sarebbe morto entro breve per un ictus cerebrale e mi fece giurare che avrei seguito le istruzioni per il pacco.
Mi offrì una grossa somma di denaro per il mio servizio. Accettai, ci salutammo e dopo una settimana morì: ictus cerebrale… non mi ero dimenticato del pacco, ma poco ci mancava. 
Fui talmente impressionato dalla sua morte annunciata che mi venne la voglia di gettare il pacco nella spazzatura. Ma non lo feci o meglio, non fui capace di farlo, perché una voce dentro mi diceva in continuazione che avevo giurato, avevo giurato… dal tono erano implicite delle minacce, se avessi trasgredito. Inoltre, avevo accettato il denaro.
Ed eccomi qua. Appena torniamo in falegnameria, ti vorrei consegnare il pacco da portare a Venezia; posso darti una parte del denaro… ”
Giovanni: “Non voglio denaro, l'accordo è che mi farai i remi.”
Giovanni Giuponi era esterrefatto e continuava a chiedere a Luigi Bortolot se fosse sicuro di quanto detto. Luigi confermava: si trattava di un manoscritto e, da quello che aveva capito, il manoscritto era per circa metà opera del padre del pastore, cioè Antonio e per il resto opera del pastore stesso, Bruno.
Aggiunse che il musicista Carlo, figlio del morto, si era fatto vedere varie volte in osteria: sembrava in ogni caso che non sapesse niente del pacco consegnato da suo padre a Luigi Bortolot.
Tornati in falegnameria, Giovanni Giuponi si fece consegnare il pacco, ripromettendosi di darlo al più presto a qualcuno, in quel di Venezia.
Giovanni tornò a casa, a Venezia, in campo Santa Maria Formosa. Durante la notte non chiuse occhio pensando al pacco.
Fra un pensiero e l'altro, si ricordò che al numero 5252, vicino a casa sua, si trovava la gloriosa biblioteca Querini Stampalia.
Pensò: “Domani mattina, chiamo subito la biblioteca e così la facciamo finita con questo manoscritto: con tutto quello che ho da fare... “
All'orario di apertura, la segretaria della biblioteca sentì il telefono che squillava. Giovanni: “Signorina, io sono Giovanni Giuponi e ho ricevuto l'incarico di consegnarvi un manoscritto per cui vorrei parlare con qualcuno ”.
“Sono Paolo Ballarin, direttore della Querini Stampalia: in che cosa posso esserle utile? “
Giovanni: “Sono Giovanni Giuponi, maestro d'ascia dello squero di San Trovaso della Cooperativa Gondolieri... ieri ero nel Cansiglio, a Vallorch, e mi hanno consegnato un pacco che probabilmente contiene un manoscritto; ho l’incarico di consegnarlo a un‘importante biblioteca e così ho pensato a voi; vorrei venire anche subito “.
Ballarin: “Grazie per il pensiero; devo comunque chiamare i Carabinieri, i quali dovranno essere presenti: mi lasci il suo numero di telefono ”.
Giuponi lasciò il numero e chiuse la comunicazione. Dopo dieci minuti suonò il telefono ed era Paolo Ballarin: “Signor Giuponi, venga pure tra mezz'ora: nel frattempo arriveranno anche i Carabinieri ”.
Giovanni Giuponi si preparò e nel tempo di mezz'ora fu in biblioteca. Non fece a tempo di chiedere di Paolo Ballarin che due carabinieri, uno con la pistola in pugno, lo avvicinarono e lo perquisirono.
Chiesero del pacco e lo stesso fu esaminato con uno strumento elettronico infernale. Superati tutti gli esami, Giovanni fu introdotto, col suo pacco, nello studio di Paolo Ballarin. I Carabinieri rimasero presenti per controllare cosa potesse succedere.
Giovanni Giuponi raccontò la storia di Luigi Bortolot, il falegname di Vallorch, per filo e per segno.
Paolo Ballarin: “Giuponi, qui ne sentiamo tante, ma questa ha dell'incredibile ”
Allungò le mani sul pacco con fare appassionato e tolse il primo involucro di carta-paglia giallastra, di quella carta che usano i macellai.
Esisteva un altro involucro che avvolgeva, legato con lo spago, un voluminoso plico di fogli manoscritti.
Questo involucro recava una scritta manuale:
Zimbar Earde: Sprichwörter
S’ista di sun und renk, dar Taüvl hat  geschlakh soi baibe.
Ballarin si rivolse ai due carabinieri per dire loro che potevano accomiatarsi. I carabinieri si fecero firmare un documento sia dal Ballarin Paolo che dal Giuponi Giovanni, salutarono e se ne andarono.
Paolo Ballarin disse: “Che lingua sarà mai… Sprichwörter è tedesco, sun è inglese, ma il suo articolo di sembra sassone antico. Earde sembra tedesco antico e così pure sembrano dar, hat e geschlakh. Quindi potrebbe essere… Terra,  Proverbi…  il sole e pioggia, il Diavolo ha battuto … “
Giuponi: “Io sono cimbro e a Vallorch parlano il… “
Ballarin non lo lasciò finire: “Cimbro! Certamente! E' una lingua sassone del tredicesimo secolo, dell'alta Baviera, qualcuno dice Danimarca… quindi Zimbar è un aggettivo per Cimbro.  Abbiamo allora: Proverbi della Terra Cimbra. Sole e pioggia, il Diavolo ha battuto... Il Diavolo … mah, non so, lo dobbiamo far tradurre a Luserna in Trentino, al Centro di Cultura Cimbra. Telefono subito… “
Giuponi: “Scusi direttore, io sono preso con i remi per il Papa e me ne andrei…”
Ballarin: “Come? I remi per il  Papa? “
Giuponi: “Non ha importanza: le lascio il manoscritto e se non le dispiace, me ne vado… ”
Ballarin: “Va bene, Giuponi, la ringrazio per conto della biblioteca e la saluto. Comunque ho guardato il manoscritto: sembra tutto nella lingua cimbra, se è tale… grazie di nuovo; ho il suo numero di telefono e lei ha il mio.
Per adesso, arrivederci “.
Giuponi: “Speriamo invece di non rivederci perché questo non è il mio mondo; quando lo avrà tradotto, mi basterà una telefonata per soddisfare la mia curiosità.  Addio ”  E se ne andò allo squero. Telefonò a Bortolot per comunicare le novità e tranquillizzarlo. Ora poteva e doveva pensare ai remi per Sua Santità.





[1] Edificio di stile montanaro atto alla costruzione e riparazione di imbarcazioni lignee: gli operai erano solitamente montanari del Cansiglio e lo squero era costruito da loro. Inconfondibile perché avulso dall'architettonica veneziana. Lat. 45.431078° N,  long. 12.326531° E
[2] Celebrato il giorno dell'Ascensione (Festa della Sensa). Costituito intorno all'anno 1000, tale sposalizio simboleggiava il dominio marittimo di Venezia sul mare. Consisteva in una processione di imbarcazioni, durante la quale  il Doge gettava un anello d'oro nelle acque antistanti la bocca di porto del Lido.
[3] Doge di Venezia(55°) dal 1354 al 1355, decapitato per alto tradimento. In realtà per aver sminuito i potenti.
[4] Francesismo: cospargere la chiglia di pece nera per impermeabilizzarla.
[5] Dal greco terebinthos, terebinto, un albero dalla cui linfa la trementina era distillata. La trementina di Venezia si ottiene invece dal larice comune del Cansiglio.
[6] Dall'arabo Dârçanah, casa di lavoro, da cui anche Dàrsena.
[7] Quale ne l’arzanà de’ Viniziani bolle l’inverno la tenace pece a rimpalmare i legni lor non sani…(Dante, Inferno, canto XXI).

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