venerdì 10 febbraio 2012

A081 Venezia I°


Sono veneziano e la casa piccolina che vedete nella foto è quella, sulla Riva degli Schiavoni, dove ho abitato con i miei sino a diciannove anni. Poi, non essendo un mammone, ho pensato bene di andarmene.
Non appena ebbi superato l'esame di terza media, nell'estate del 1956, mio padre mi fece un discorso chiaro: "Se vuoi continuare a studiare, io ti aiuterò (i mezzi in famiglia non mancavano, anche se non si nuotava nell'oro) però i libri di scuola e tutto quello che non è il vitto e la retta scolastica devi procurarteli da solo. Compresi i vestiti."

A tredici anni non è un discorso facilmente digeribile e francamente converrebbe, genitori permettendo, essere un mammone. Ma mio padre veniva da mondi diversi: di famiglia romagnola (San Piero in Bagno, Forlì), conterraneo di Mussolini ed ex-fascista, pensava che i maschi si dovessero allevare diversamente dalle femmine. Mia sorella mi faceva invidia: per lei c'era il tennis, la danza classica, l'equitazione al Lido e la scuola di pianoforte. Per me c'è stata solo composizione dagli otto ai tredici anni, poi basta: lo studio del pianoforte, successivamente, me lo son dovuto pagare io.
Insomma nell'estate del '56 ho cominciato a cercare lavoro. Un mese di ricerca affannosa, perché il tempo dell'inizio della prima superiore si avvicinava a grandi passi. Finalmente, al ponte dei Dai, vicino a piazza San Marco, trovai lavoro come apprendista impiegato alla Cooperativa fra Gondolieri 'Daniele Manin': avrei sostituito un ragazzo dimissionario. Il lavoro che mi si offriva era sino ai primi di ottobre: avevo quindi a disposizione tre mesi scarsi ed avrei guadagnato ventimila lire al mese circa. I libri della prima superiore costavano abbastanza meno ma dovevo assicurarmi anche qualche spicciolo da tenere in tasca e quindi ero preoccupato, soprattutto per i vestiti.
Il primo giorno di lavoro fu terrificante. La Cooperativa svolgeva il servizio funebre in esclusiva per conto del Comune e la stragrande maggioranza dei servizi funebri a Venezia si fa di pomeriggio, in modo da avere il tempo per preparare la barca.
La mattina si doveva per l'appunto sapere il numero dei morti per le gondole necessarie e l'accordo era che l'Ospedale Civile di Campo San Giovanni e Paolo avrebbe dovuto telefonare in Cooperativa entro le 8 del mattino. Come ci si può facilmente immaginare, nessuno telefonava e il ragionier Bollato, amministratore, mi disse: "Come primo compito, ti mando in Campo San Giovanni e Paolo, ti fai tutta la fondamenta a piedi e alla fine dell'ospedale, di fronte all'isola di San Michele (il cimitero), troverai l'ingresso dell'obitorio. Entra, parla col custode, qualificati e chiedi quante barche servono." Per barche si intende gondole. Vado ed entro nell'obitorio. In un ufficio piccolino trovo un signore corpulento che sta facendo colazione.
Mi qualifico e lui mi dice: "Ma quell'altro giovane non c'è più? Vai dentro e contati i morti perché non so quanti sono: non mi hanno ancora portato le carte. Poi sappimi dire, svelto."
Ecco il mio primo lavoro: contare dei poveri morti. Quella mattina erano cinque.
Ripassai davanti all'ufficio e dissi al custode di quanti morti si trattava. Presi il telefono (bontà sua) e chiamai subito in Cooperativa il ragionier Bollato: "Sono cinque!"
"Bene, bravo, torna qua, passa in cartoleria da Testolini e fatti dare un registro così e così."
Miei cari, vi ho descritto il mio primo giorno di lavoro. Uno che comincia così non ha più paura di niente.
Il lavoro poi consisteva nell'organizzare le cavane: la cavana è un servizio di traghetto, sempre concordato col Comune, a prezzi particolarmente ridotti e nessun gondoliere lo vorrebbe fare mai. A San Tomà e a Santa Maria del Giglio, essendo i ponti che superano il Canal Grande relativamente distanti, un apposito servizio di traghetto da una riva all'altra viene assicurato ed ogni passeggero quella volta pagava cinque lire: in pratica, non pagava niente. Quindi gli elenchi dei turni di cavana erano all'origine di innumerevoli dispute tra i gondolieri stessi.  Inoltre, gli alberghi telefonavano e volevano delle gondole per la sera, per il giro del Canal Grande. Ad esempio, telefonava l'Hotel Danieli che voleva dodici gondole per la serata: cinque turisti per gondola. Le gondole prescelte per il giro serale erano particolarmente remunerative perché i turisti lasciavano mance colossali. E così, cominciai a fumare: nessun gondoliere voleva essere di cavana e tutti volevano fare il servizio turistico serale quindi, benché io potessi intervenire solo in caso d'indisposizione di qualche gondoliere e non avessi grandi poteri decisionali, questo bastava perché sul mio tavolo ci fossero sempre pacchetti di sigarette omaggio: non si sa mai... in ogni caso le sigarette erano contrabbandate, ma a sigaretta donata non si guarda in bollo. Una volta sola, la prima volta,  ho detto ad un gondoliere: "Ma sono di contrabbando..." Risposta: "Me le hanno regalate! Le dovevo rifiutare?"
Io parlavo bene francese ed inglese: questo perché sopra casa mia abitava una professoressa vedova slava di un ufficiale inglese morto durante la guerra, la quale per passatempo mi trasferiva le sue conoscenze linguistiche e gli slavi, come si sa, nelle lingue non hanno rivali. 

Quando i gondolieri seppero che parlavo francese ed inglese, tutti mi vollero per fare il cicerone nella loro gondola (mancia più alta...)  e allora altre sigarette gratis: "Vieni con me, no, vieni con me." Insomma, le mance che ricevevo dai turisti erano il doppio dello stipendio: ventimila di stipendio e quaranta o cinquantamila di mance. I più generosi sono gli americani, i più tirchi gli inglesi. I giapponesi sembrava che non capissero o che non avessero il concetto di mancia. Bisogna dire che quella volta avevano i denti di ferro e gli occhiali di ferro, mentre adesso hanno denti ed occhiali d'oro: forse c'è un nesso.

Ora, un paio di soprannomi.

Luigi Imbransi, detto "Ciapate!"
Prima della seconda guerra mondiale, Curtatone e Montanara (Vittorio Emanuele III ed Elena di Montenegro) vennero a Venezia e Gigio Imbransi era stato prescelto come gondoliere ufficiale per i regali ospiti. Io non c'ero ma si dice che avesse due baffoni meravigliosi, un portamento atletico e una divisa di una bellezza commovente,  quella che aveva usato una volta per il Patriarca. Finito il giro nel Bacino Orseolo, mentre gli augusti ospiti stavano scendendo dalla gondola, fissata col doppio 'ganser' (due gondolieri anziani che tenevano la gondola vicina alla riva con un attrezzo chiamato 'mezzo marinaio'), Gigio si accorse che la regina Elena aveva dimenticato il cappello di paglia a tesa larga nel sedile della gondola. Invece di dire "Maestà, prendete il vostro cappello" o qualcosa del genere, porse il cappello uscendo burberamente con una sola parola: "Ciapate!" (da ciapar, che in veneziano significa prendere)
Da quella volta, gli rimase il soprannome Ciapate. Se i siciliani definiscono il soprannome come 'ngiuria ci sarà pure un motivo.

Un altro aveva il soprannome "MamaNoMeAlso" che in veneziano significa "Mamma, non mi alzo."
Egli stava dormendo beatamente nella sua gondola, quando un altro gondoliere lo svegliò per dirgli che era di cavana, toccava a lui il lavoro ingrato di portare su e giù i passeggeri per poco o niente. Pensava forse di essere a casa sua e che fosse sua madre a cercare di svegliarlo, per cui uscì con la famosa frase che per tutta la vita gli rimase come soprannome.

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