martedì 14 febbraio 2012

A089 Letteratura: Ivo Andrić, premio Nobel 1961.



"Per la forza epica con cui ha tracciato e rappresentato i destini umani concernenti la storia del suo paese."
Questa è la motivazione del Nobel 1961.
Uno scrittore piacevole per noi italiani. Era un diplomatico. Nacque a Travnik, in Bosnia Erzegovina il 9 ottobre 1892 e morì Belgrado, il 13 marzo 1975).

Per lunghi anni a contatto col nazismo, anche come ambasciatore del suo paese a Berlino, riuscì sempre a non farsi coinvolgere, anche quando i tedeschi occuparono Belgrado durante la seconda guerra mondiale. Egli descrive cristiani (cattolici sloveni e croati, ortodossi serbi), musulmani (turchi e bosniaci) ed ebrei, rimanendo al di fuori dai problemi etnici e religiosi: per lui non ci sono migliori o peggiori: tutti vittime dei potenti. Noi italiani non abbiamo ricevuto alcun insegnamento, nelle nostre scuole, circa il mondo ad est di Trieste e praticamente non sappiamo niente. Gli italiani del nord est e i giuliani in particolare sanno qualcosa di più, ma anche la realtà delle foibe e delle deportazioni degli istriani e dalmati ci è rimasta praticamente storia sconosciuta.

Andrić fa al caso nostro: una prosa brillante, piana, come una fiaba che ci occupa una sera d'inverno. Mai un eccesso, mai un'invettiva: benché talvolta i particolari siano di un certo realismo, è sempre delicato ed evita ogni volgarità. Può essere letto anche ai bambini dai sei anni in su.
Col nostro autore si comprende cosa sia un crogiolo di razze e come la paura dell'altro esista solo fin che la conoscenza reciproca non viene approfondita.
Si comprende infine che i popoli sono tenuti divisi artatamente dagli impostori che vogliono comandare e contemporaneamnete assicurarsi il potere. Costoro devono evitare assolutamente che le genti si conoscano e fraternizzino.
Le terre di confine, come Trieste, la Slovenia, la Croazia, la Bosnia, vivono questi drammi e le genti vorrebbero familiarizzare. I potenti invece seminano l'odio e la zizzania. Le leggi vengono cambiate talvolta a bella posta per avvelenare gli animi, non per altro: un disegno predeterminato.
Una scuola di vita propedeutica a una vera unione europea.
Nel Ponte sulla Drina, ad esempio, ponte di confine, Popi, Preti e Rabbini si incontrano sul ponte stesso e vanno perfettamente d'accordo: arrivano poi le autorità le più varie, una volta i turchi, una volta gli austriaci e così via, tutti con l'unico obiettivo: piantare paletti che delimitino i confini, invalicabili per coloro che convivevano sul ponte, inventando cattiverie, per aizzare l'odio. Creandole apposta, eventualmente perché il sospetto prenda radici profonde.
In altri racconti (La storia maledetta), il protagonista si trova per varie vicissitudini in carcere a Trieste e familiarizza coi carcerieri ungheresi ed austriaci, ma le autorità gli mettono in cella un ratto, cioè uno spione, per poterlo meglio incriminare e creare artatamente situazioni che portano per esasperazione a situazioni come quella di Gavrilo Princip, l'attentatore di Sarajevo. Una prima guerra mondiale costruita sul niente, che ha fomentato l'odio per generazioni. Ogni tanto Andrić, credente, si lascia sfuggire qualche speranza di punizione per questi assassini di popoli.
Insomma, eccola legge di chi comanda: se vogliamo conquistare nuove terre ed espandere i nostri possedimenti, dobbiamo fare in modo che tra le genti serpeggi l'odio, non importa di quale tipo e in quale maniera instillato. Li potremo aizzare l'un contro l'altro, consegnare loro un vecchio fucile e mandarli al macello.
Il Ponte sulla Drina copre la storia del ponte dal 1571 sino ai giorni nostri: secoli di odio e di prevaricazioni, secoli di guerre, con la povera gente che paga, paga e paga senza fine.




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