mercoledì 28 dicembre 2011

A029 Il ragionamento per tangente e il risparmio.


Gli esseri umani sono degli abitudinari e la novità dà sempre un senso di incertezza. Se osserviamo i bambini, ci accorgiamo che sono molto, molto abitudinari.
Provate a leggere una bella fiaba a un bambino: se la fiaba è veramente bella, il piccolo vi chiederà di leggergliela ancora ed ancora.
Nella lettura ripetuta della fiaba troverà un senso di sicurezza. A metà di una fiaba già sentita venti volte, il bambino pregusta la parte finale che arriverà nei prossimi minuti e per il periodo mancante non avrà più l’incertezza del futuro. Potrà prevedere il futuro stesso, nel senso che conosce già la conclusione della fiaba.
Provate a cambiare una sola parola... ad esempio, se il testo dice “...e Pollicino, nel chiaro di luna, poteva vedere la strada del ritorno...” e voi invece  dite, omettendo la luna, “...e Pollicino poteva vedere la strada del ritorno...”, il bambino vi richiamerà all’ordine e griderà: “Nooo! C’è anche il chiaro di luna!”
Gli avete tolto la tranquillità, stava pregustando il futuro...     
Questa pregustazione del futuro si chiama anche abitudine e tanto più ci rifugiamo nell’abitudine quanto più stiamo attraversando un periodo d’incertezza: “Se, nelle ultime volte, alla situazione A ha fatto seguito la situazione B, ora che si sta concludendo la situazione A non potrà succedere che una cosa: seguirà la situazione B...”
Immaginiamo cioè la situazione B come una prosecuzione inevitabile della situazione A e questo costa pochissima fatica, molto meno che immaginare una situazione C al posto della B, situazione C che potrebbe portare a delle novità anche poco piacevoli. Questo atteggiamento viene designato come “ragionamento per tangente”. Se c’è stata una concatenazione di fatti, questa non potrà che proseguire.
Abbiamo il terrore dell’ignoto perché in realtà sappiamo che una decisione potrà  portarci sicuramente qualcosa di positivo, ma anche di negativo.
Per spiegare un quadro fondamentale per l’uomo e per i suoi risparmi, illustriamo quanto segue.
Siamo in allegra compagnia, stiamo facendo una bella passeggiata in un bosco sconosciuto, quando improvvisamente ci troviamo ad un bivio: la strada di sinistra sembra andare verso una salita molto ripida mentre la strada di destra sembra andare verso una prosecuzione normale. Bisogna decidere: quale scegliamo? quella di destra?  proviamo un senso di fastidio, perché potrebbe essere quella sbagliata; dopo alcuni metri, potrebbe essere più ripida dell’altra...
I membri della compagnia cominciano ad esprimere le loro opinioni, tutte valide, ma sicuramente nessuno può puntare su di una soluzione sicura. A questo punto, qualcuno propone che Mario, ex- boy scout, esperto di sentieri, decida.
Mario accetta: qualunque strada decida, sarà infelice perché forse l’altra strada poteva essere migliore. Chi decide non può quindi essere felice ma può essere visto come più importante e come un capo dagli altri. Ha insomma parecchie probabilità di diventare un leader, libero di decidere ma infelice.
Per gli altri, invece c’è la felicità: se Mario avrà deciso bene, saranno felici e se Mario avrà deciso veramente male saranno felici lo stesso, perché la colpa sarà di Mario, in quanto solo Mario ha preso la decisione sbagliata.
Nella vita quindi bisogna scegliere tra libertà e felicità. Questo è il problema insito nella Rivoluzione Francese: Libertà, Uguaglianza e Fraternità, ma non felicità. L’uguaglianza dovrebbe eliminare l’invidia, ma l’uguaglianza assoluta non è possibile, perché le decisioni vanno delegate e questo fa cadere l’uguaglianza. La conseguenza di questa inevitabile disuguaglianza di solito è l'invidia. La fraternità vera è possibile solo tra uguali. E così anche la Rivoluzione Francese ha dei limiti, anche teorici.
Analogamente, se Mario sbaglia, potrebbe essere ghigliottinato. Un dittatore quindi è libero ma  non è felice. I sudditi sono felici almeno in prima analisi e, se il dittatore sbaglia, lo possono punire. Questa è la vita... in cambio dell’esecuzione futura probabile (prima o poi sbaglierà...), il dittatore chiederà dei privilegi, dei grandi privilegi. Anzi dei grandissimi, mostruosi privilegi. Il dramma è quando chiede i privilegi ma in cambio non sa decidere assolutamente. Ci capiamo.
Tornando al nostro bivio, supponiamo di ritrovarci da soli, senza Mario, nella stessa posizione topografica. Mentre Mario potrebbe dire “questa volta, proviamo l’altra strada”, noi prenderemo sicuramente quella già percorsa perché “chi lascia la strada vecchia per la nuova...” Ebbene, questo sarà di nuovo un ragionamento per tangente. Questo accade tutte le volte in cui penso che succederà ancora quanto già successo, perché non ho voglia di pensare alle implicazioni che potrebbero derivare dai cambiamenti.
Questo tipo di ragionamento per tangente può essere anche il motivo per cui perderemo in borsa o in qualunque altra situazione analoga.
“Ho comperato azioni delle Assicurazioni Generali a 20 Euro, sono andate a 22, 24, 28, 30... continueranno pertanto a salire... (per l’eternità?)” Siccome la fiaba sta proseguendo, non c’è motivo di pensare che possa cambiare. Non c’è motivo di preoccuparsi e inoltre il vecchio adagio mi soccorre: “Non fasciarti la testa prima di essertela rotta...”  Tuttavia, quando si sarà rotta, sarà ormai troppo tardi.
Un classico sono gli immobili e le azioni, che vanno confrontate periodo per periodo.
Nei primi anni ’60, le azioni andavano su a tutta velocità e gli immobili non li voleva nessuno perché era fresco il ricordo dei bombardamenti (1945) e della perdita delle proprie case.
Nel 1963 le azioni davano un utile dell’uno per cento ma continuavano a salire di prezzo e i guadagni non dipendevano dagli utili ma dall’aumento del valore delle azioni. E tutti volevano azioni, ragionando per tangente: se le azioni vanno su, continueranno a farlo.
Gli immobili invece non si muovevano: al centro di Conegliano Veneto, in provincia di Treviso, al piano sovrastante il Credito Italiano, un appartamento di cento metri quadrati (in pienissimo centro) si comperava per 300.000 lire (tutto l’appartamento!) e si ricavava un affitto di 30.000 lire: un dieci per cento e nessuno comunque (o meglio, solo qualcuno) lo voleva. Nessuno voleva immobili, ragionando per tangente: se vanno giù, continueranno a farlo.
Poi arrivò un governo di centro-sinistra e l’Enel rilevò l’azienda elettrica locale, la Sade, la quale subito dopo fu una delle cause che diedero inizio a un grande ribasso di borsa. Fu l’inizio di un periodo magro per le azioni e tutti passarono lentamente dalle azioni stesse agli immobili, i quali lentamente cominciarono a salire.
Dopo quindici anni circa, la situazione s’era completamente invertita: gli immobili rendevano l’1% e le azioni rendevano il 10%.  La lezione del 1963 non era servita: ora nessuno voleva azioni e tutti volevano immobili, come se gli immobili dovessero salire per l’eternità e le azioni dovessero scendere per l’eternità.
Anche questo è un ragionamento per tangente.  Potremmo proseguire, ma la morale mi sembra abbastanza chiara.
A partire dal 2002 circa, gli immobili sono andati su, su, a prezzi astronomici. La gente ha comperato, comperato, comperato e siamo arrivati a prezzi ridicoli. Li definisco ridicoli per il seguente motivo:
Un operaio che prende in affitto un appartamento di 60 metri quadrati e guadagna 1000 euro al mese, non può pagare più di 200 euro al mese di affitto (circa), soprattutto se i 1000 euro al mese servono a mala pena per vivere. Si tratta di un quinto del salario.
Scartabellando nei vari archivi di stato italiani, francesi, inglesi, ci si accorge che, a causa del mal governo, nei periodi in cui gli operai pagavano affitti superiori a un quinto del salario, sono scoppiati dei tumulti. Date una scure in mano a qualcuno che non lavora o, se lavora, deve spendere tutto per affitto, tasse, non può andare ad un cinema, non può mandare i figli a scuola, non ce la fa a comperare i medicinali: userà la scure per il semplice motivo che non ha niente da perdere. Egli pensa, a torto o a ragione, che usando la scure forse qualcosa cambierà.
Quindi 200 euro al mese sono 2400 euro all’anno. Questo affitto va incassato dal proprietario il quale penserà: “Non posso comperare l’appartamento per più di 48 mila euro, perché voglio guadagnare almeno un 5% lordo, che sono appunto 2400 euro."
48 mila euro di 60 metri quadrati fanno 800 euro al metro quadrato.
Ma lo ha comperato per molto di più, perché ha ragionato per tangente e ora non vorrebbe perdere, nonostante l'evidenza dei fatti.
Fino a quando non vedrete prezzi pari a  800 euro al metro quadrato, continueranno i problemi. Senza contare che questo problema, grande di per sé, va ad innestarsi su altri problemi. Oppure i salari dovranno più che raddoppiare, ma questo è molto difficile.
Se vi leggete il testo di Edward Gibbon, “Declino e caduta dell’impero romano”, vi accorgerete che la caduta è stata causata dal malgoverno e che i problemi esistenti ERANO ESATTAMENTE COME QUESTI.
Niente di nuovo, sotto il sole...

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